MONSTERS HORROR FILMFEST
We help to find
What are you looking for?

As boas maneiras di Juliana Rojas, Marco Dutra

Titolo internazionale: Good Manners

Brasile, 2017, 135′

Sceneggiatura: Juliana Rojas, Marco Dutra

Fotografia: Rui Poças

Montaggio: Caetano Gotardo

Musica: Guilherme Garbato, Gustavo Garbato

Scenografia: Fernando Zuccolotto

Costumi: Kiki Orona

Effetti speciali trucco: Olivier Afonso

Interpreti: Isabél Zuaa (Clara), Marjorie Estiano (Ana), Miguel Lobo (Joel), Cida Moreira (Dona Amélia), Andrea Marquee (Ângela), Felipe Kenji (Maurício)

Produzione: Frédéric Corvez, Clément Duboin, Sara Silveira per Good Fortune Films / Urban Factory / Dezenove Som e Imagem

Distribuzione: Urban Sales

 

In programma Domenica 29/10/23 – ore 18:00 – Spazioporto

 

Clara, un’infermiera solitaria della periferia di San Paolo, viene assunta dalla ricca e misteriosa Ana come tata del suo bambino non ancora nato. Mentre le due donne si avvicinano gradualmente, la futura madre inizia a cadere preda di crisi di sonnambulismo…

 

Note di regia:

Il genere ci permette di approfondire la nostra comprensione delle ansie che affliggono questo mondo. Siamo entrambi fan dei primi cartoon della Disney e del loro modo poco ortodosso di mescolare i generi. Con Biancaneve, Dumbo e Bambi, la musica, l’horror e il fantasy erano usati per affrontare i temi complessi dell’invidia, della solitudine e della pubertà. Abbiamo voluto seguire questo modello, ma con i nostri nostri temi contemporanei, cioè il desiderio sessuale, la definizione di una famiglia, la metamorfosi del corpo. La fiaba è una forma di racconto ampio, molto diretto, che usa le cose quotidiane per creare per creare fantasia e significato. As boas maneiras è il nostro tentativo di creare una favola della vita moderna. Ci siamo ispirati anche ai film di Jacques Tourneur e in particolare a Il bacio della pantera e L’uomo leopardo, in cui l’atmosfera e il fuori campo sono resi particolarmente bene.

(Juliana Rojas, Marco Dutra)

 

Juliana Rojas, Marco Dutra

Juliana Rojas è nata a Campinas, São Paulo, nel 1981. Marco Dutra è nato a São Paulo nel 1980. Dopo essersi conosciuti alla Escola de Comunicação e Artes della Universita di São Paulo, hanno iniziato a collaborare, realizzando i cortometraggi O Lençol Branco (2005) e Um ramo (premiato alla Semaine de la Critque di Cannes 2007). Il loro primo lungometraggio, Trabalhar cansa è stato presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2011 e lo stesso anno ha vinto il premio Citizen Kane a Sitges. Juliana Rojas ha poi ha diretto la commedia musicale Sinfonia da Necrópole (Premio FIPRESCI al Festival di Mar Del Plata 2014) e ha lavorato come sceneggiatrice alla serie Netflix 3% – Stagione 2. Marco Dutra, da parte sua, ha diretto l’horror Quando eu era vivo (2014), seguito dal thriller A voz do silencio (2016), alternando anche lui lavori per il cinema e per la televisione. As boas maneiras segna il ritorno alla regia insieme, e ha avuto la sua première al Festival di Locarno 2017, per poi vincere numerosi premi in varie manifestazioni di tutto il mondo.

 

La critica:

Dopo Trabalhar cansa, in cui la quotidianità familiare di una donna si sgretolava sino alla paranoia per colpa della crisi economica, con As boas maneiras la coppia di autori brasiliani si spinge in un’altra lettura perturbante del reale, questa volta tarata sul registro fantastico e baciata da una dolcezza interiore che però non pare avere scampo nel mondo reale. (…) L’intreccio di elementi gotici spinge la parabola nella direzione di una visione intrusiva tra bene e male di fronte agli schemi sociali: il grottesco, che in Trabalhar cansa scricchiolava in chiave surreale assieme al mattone dell’appartamento, lascia il posto in As boas maneiras alla visione chiaroscurale di una fiaba popolata di mostri, che sposta nella rete urbana della metropoli le dinamiche della classica teratologia. (…) Gli inserti musicali, le parti cantate, le pulsioni fantasy della fotografia dai cromatismi rimarcati, un po’ tutto contribuisce a creare un oggetto filmico che dispensa materiale affabulatorio in sintonia con la classica parabola del monster movie. (Massimo Causo, da duels.it)

Blackout di Larry Fessenden
(Concorso)

Usa, 2023, 103′

Sceneggiatura: Larry Fessenden

Fotografia: Collin Brazie

Musica: Will Bates

Scenografia: Linnea Crabtree

Costumi: Michelle Elise

Effetti speciali trucco: Jared Balog, Brian Spears

Interpreti: Alex Hurt (Charley Barrett), Addison Timlin (Sharon), Motell Gyn Foster (Earl), Joseph Castillo-Midyett (Luis), Ella Rae Peck (Alice), Rigo Garay (Miguel), John Speredakos (Padre Francis), Michael Buscemi (Andy), Jeremy Holm (Harry), Joe Swanberg (Stuart), Barbara Crampton (Kate), James Le Gros (Tom Granick), Marshall Bell (Hammond)

Produzione: Larry Fessenden , J. Christian Ingvordsen, James Felix McKenney per Glass Eye Pix

Distribuzione: Yellow Veil Pictures

 

In programma Venerdì 27/10/23 – ore 20:30 – Spazioporto

 

Nella cittadina di Talbot Falls, il pittore Charley Barrett cerca di smascherare la corruzione dello spietato costruttore Hammond e nel contempo prova a riconciliarsi con l’ex moglie Sharon, figlia dello stesso Hammond. Ma su di lui grava una maledizione: Charley è infatti un lupo mannaro, responsabile di una serie di macabri omicidi. Gli abitanti della zona credono colpevole uno degli operai latini del cantiere di Hammond e, con il sorgere della luna piena, il loro desiderio di giustizia raggiunge il culmine, mentre Charley soccombe ancora una volta alla sua trasformazione.

 

Note di regia:

Quando si pensa a un lupo mannaro, parte della domanda è: come influenzerebbe una comunità? Volevo che [il film] fosse il ritratto di una comunità che, purtroppo, è molto vulnerabile alle divisioni. Mi sembra che questa sia la storia dell’America in questo momento storico. Siamo letteralmente pronti a rivoltarci l’uno contro l’altro, e qualsiasi persona in malafede può approfittare di qualcosa che sta accadendo per usarla a proprio vantaggio. C’è quindi un elemento di propaganda e disinformazione di cui tutti soffriamo. Voglio esplorare il momento in cui ci troviamo mentre mi godo questi miti più antichi e profondi sulla dualità, sul nostro rapporto con la natura, sul senso di colpa e su tutte le altre cose che si spera siano implicite in queste storie.

(Larry Fessenden, da Bloody-Disgusting)

 

Larry Fessenden

Attore, regista, produttore, sceneggiatore, montatore e direttore della fotografia, è uno dei nomi fondamentali del cinema indipendente americano degli ultimi trent’anni. Nato a New York, dove vive e lavora, studia alla NY University, dove produce un primo lungometraggio in video, Habit, poi rifatto in pellicola nel 1997. Nel 1985, per realizzare il progetto di 4 ore Experienced Movers, fonda la compagnia Glass Eye Pix, con cui realizza le sue opere successive e quelle di altri filmmaker indipendenti (fra i nomi che ha aiutato figurano Jim Mickle, Ti West e Ana Asensio). Il pubblico italiano lo scopre nel 2002 quando il Torino Film Festival gli dedica un omaggio con la trilogia horror formata da No Telling (poi noto anche come La sindrome di Frankenstein), il già citato Habit e Wendigo. All’attività cinematografica affianca anche quella di musicista con la band Just Dessert, fondata nel 1987, e a vario titolo ha anche scritto libri e videogames. Dopo Depraved (presentato alla quarta edizione di Monsters), che rivisitava il mito di Frankenstein, il suo ultimo Blackout prosegue la sua ricognizione sui mostri classici.

 

La critica:

Fessenden usa gli attriti culturali come una solida struttura su cui costruire il suo film di mostri. Dona in questo modo alla storia un background con cui lo spettatore può relazionarsi e che aggiunge un po’ di tristezza per gli eventi che seguiranno, mentre li integra perfettamente a quello che Charley fa quando c’è la luna piena. Come la maggior parte dei film di Fessenden, Blackout utilizza un approccio minimalista ai suoi elementi soprannaturali, radicandoli nella realtà e offrendoci qualcosa che sembra e risulta unico.

(Emily Von Seele, da Daily Dead)

L’Uomo Lupo di George Waggner

Titolo originale: The Wolf Man

Usa, 1941, 70′

Sceneggiatura: Curt Siodmak

Fotografia: Joseph Valentine

Montaggio: Ted Kent

Musica: Charles Previn, Hans J. Salter, Frank Skinner

Scenografia: Jack Otterson

Effetti speciali trucco: Jack P. Pierce

Interpreti: Lon Chaney Jr. (Larry Talbot / L’Uomo Lupo), Claude Rains (Sir John Talbot), Ralph Bellamy (Colonnello Montford), Warren William (Dr. Lloyd), Patric Knowles (Frank Andrews), Bela Lugosi (Bela), Maria Ouspenskaya (Maleva), Evelyn Ankers (Gwen Conliffe), Fay Helm (Jenny)

Produzione: George Waggner per Universal Pictures

Distribuzione: Universal Pictures

 

In programma Martedì 24/10/23 – ore 19:00 – Savoia Cityplex

 

Larry Talbot torna al paese natale in Galles, dopo un lungo soggiorno in America e si riunisce al padre Sir John. Una sera, soccorre una ragazza aggredita da un lupo, che si rivela però un licantropo. Morso dalla bestia, Larry si trasforma in un Uomo Lupo ogni notte di luna piena, una maledizione che né gli affetti familiari né l’amore riescono a arginare.

 

Sul film:

L’antico mito del lupo mannaro illustra come tanti altri miti la lotta del Bene e del Male nell’animo umano. Il Male prende la forma grafica della bestia, il pentimento la forma umana (…). Come Edipo, Talbot deve combattere una sorte personale (il fato) dalla quale, da un lato, si sente perseguitato, mentre dall’altra parte il proprio carattere cospira per distruggersi. Egli è portato a una presa di coscienza (della sua natura mostruosa), a una coscienza di sé stesso così straziante da fargli considerare la morte come una liberazione. Come l’Antigone di Sofocle, The Wolf Man manifesta una doppia tragedia: quella di un giovane passionalmente auto-distruttivo, e quella di un vecchio padre i cui sensi meschini dell’autorità e della disciplina comportano la rovina del figlio.

(Curt Siodmak, da “Il cinema dei licantropi”, di Riccardo Esposito, Fanucci 1987)

 

George Waggner

Regista, sceneggiatore e produttore, nato a New York nel 1894, dopo una formazione da chimico e aver servito sotto le armi nella Prima Guerra Mondiale, si reca a Hollywood per seguire una carriera d’attore. In seguito passa alla regia e si specializza nei generi d’azione, come il western e il bellico. Tuttavia, è ricordato soprattutto per il suo exploit nell’horror, con il successo de L’Uomo Lupo, in cui riprende Lon Chaney Jr., con cui aveva lavorato poco prima in Man-Made Monster. Nel 1960 si sposta in televisione, dove dirige puntate per serie come Batman, Il calabrone verde e Organizzazione U.N.C.L.E. È stato anche autore di alcune canzoni, utilizzate nei suoi film. È scomparso a Los Angeles nel 1984.

 

La critica:

La sceneggiatura di Curt Siodmak è sapiente nel creare il modello al quale si rifaranno a lungo tutte le figure di licantropo dello schermo: Talbot incontra il Male in Europa (…), la sua metamorfosi porta in luce la bestia che è in lui ma che si ibrida con la sua natura umana. (…) Mentre il mondo stava sprofondando nella follia di un’altra guerra mondiale l’America esorcizzava così le paure che il proprio coinvolgimento con un’Europa ancora incivile e barbara portava con sé.

(Daniela Catelli, da “Ciak si trema”, Theoria, 1996)

Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis

Titolo originale: An American Werewolf in London

Usa, 1981, 97′

Sceneggiatura: John Landis

Fotografia: Robert Paynter

Montaggio: Malcolm Campbell

Musica: Elmer Bernstein

Scenografia: Leslie Dilley

Costumi: Deborah Nadoolman

Effetti speciali trucco: Rick Baker

Interpreti: David Naughton (David Kessler), Jenny Agutter (Alex Price), Griffin Dunne (Jack Goodman), John Woodvine (Dr. J. S. Hirsch), Don McKillop (Ispettore Villiers)

Produzione: George Folsey Jr. per Polygram Pictures / Lyncanthrope Films

Distribuzione: Universal Pictures

 

In programma Domenica 29/10/23 – ore 22:00 – Spazioporto

 

Due studenti americani in Inghilterra, David e Jack, vengono aggrediti da una creatura nella brughiera. Sebbene morso, David sopravvive e, superato lo shock, conosce l’infermiera Alex, di cui si innamora. L’improvvisa felicità è scossa però dalla metamorfosi che nelle notti di luna piena lo trasforma in un mostruoso lupo. Il fantasma di Jack arriva ad avvertirlo: perché le vittime delle persone che uccide quando è diventato una bestia possano trovare la pace, è necessario che lui muoia…

 

Note di regia:

È sempre stata mia intenzione destare sia risate che paura. Mi dà fastidio che il film venga definito una commedia. Non è una commedia e non intende esserlo. Vuole essere divertente, ma è un horror, ed è anche un film molto dolente. La morte vi aleggia ovunque.

Anche il modo in cui realizzai la metamorfosi: pianificai una situazione allora “impossibile” per il make up e chiesi a Rick [Baker] di mostrare la trasformazione praticamente senza inserti (…) in piena luce e con una musica romantica, perciò Rick non poteva barare più di tanto. Le limitazioni che imposi a Rick dovevano servire a evidenziare la sofferenza fisica del protagonista.

Avevo sempre pensato di ambientarlo a Londra perché è un film che si rifà direttamente al gotico inglese, a Sherlock Holmes, al Mastino di Baskerville, a The Werewolf of London. (…) Il motivo fondamentale per cui scelsi il lupo mannaro è che si tratta di un mostro universale. Non tutte le culture hanno la figura del vampiro, ma tutte hanno fantasmi ed esseri ferini, cioè persone che si trasformano in animali.

(Da “John Landis”, di Giulia D’Agnolo Vallan, catalogo della retrospettiva del Torino Film Festival 2004)

 

John Landis

Regista, sceneggiatore e produttore, nato a Chicago nel 1950, è uno dei maestri della commedia americana, ma le sue incursioni nell’horror, sebbene meno frequenti, sono altrettanto significative. Folgorato in tenerà età dalla visione de Il settimo viaggio di Sinbad, inizia da adolescente una carriera da fattorino sui set della 20th Century Fox, per poi diventare anche stuntman, fino al debutto nella regia con Slok (1973). Il successo consecutivo di Animal House (1978), The Blues Brothers (1980), Un lupo americano a Londra (1981) e Una poltrona per due (1982) lo proietta fra i principali nomi della sua generazione. Significativa anche la collaborazione con Michael Jackson, con il celebre cortometraggio/videoclip Thriller (1983) e, quasi un decennio dopo, Black & White. Nel 1992 torna all’horror con il delizioso Amore all’ultimo morso, cui seguono poi le incursioni nella serie Masters of Horror con Leggenda assassina (pseudo sequel di Un lupo mannaro americano a Londra) e Family. L’ultimo suo film, Ladri di cadaveri (2010), rappresenta un perfetto incontro tra i due generi che lo hanno reso famoso.

 

La critica:

Molti sono i passaggi imperniati sulla comicità nera (quando non addirittura macabra) così come alcune sequenze di paura paiono inserite in un perfetto “climax” del genere, ma su tutto traspare un senso di amara solitudine del diverso (…). Puntuale la riflessione teorica sul cinema horror, ormai espresso soprattutto da corpi che si uniscono e si aggrovigliano fra trucchi e umori diversi, simile in questo al cinema hard: Landis li accomuna facendo diventare un cinema porno di Soho il punto di ritrovo degli zombi.

(Moreno Fabbrica, da “Paura. L’armata delle tenebre in 201 film”, ed. Demetra srl, 1999)